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Nel nome del padre

Tempo di lettura: 3 minuti

La 246 GTS è l’ultima nata, nel 1972, della gloriosa stirpe chiamata Dino, che era il figlio di Enzo Ferrari. Bellissima, veloce e oggi molto quotata, è stata costruita in soli 1.274 esemplari

Segni particolari: bella, bellissima, accidenti a lei. La protagonista di questo primo numero di DLUX è la Dino 246 GTS, da sempre una delle sportive più ambite e desiderate dai collezionisti di tutto il mondo. Una granturismo che non stona nel giardino delle case più blasonate dalla Costa Azzurra a Capri, da Parigi a Los Angeles. Il motivo è presto detto: è uno di quei modelli che in questi ultimi tempi è in controtendenza, per quanto riguarda le quotazioni, cioè, tende a salire sempre di più in un momento storico di “stasi” del mondo delle auto d’epoca. E poi, soprattutto, perché da usare è ancora dannatamente divertente. Solo (per modo di dire) 195 CV a disposizione per il 6 cilindri a V di 65° nato di sana e robusta costituzione, un vero gioiello di meccanica, con monoblocco in ghisa. La velocità massima di 245 km/h si raggiunge in un attimo e da usare è come un kart: veloce, sterzo diretto, accelerazione briosa. D’altronde, è equipaggiata con quel motore che porta un nome altisonante, quello del figlio di un padre che tanto ha dato al mondo dell’automobilismo sportivo mondiale: Enzo Ferrari.

Nella storia della Casa di Maranello esiste una famiglia di motori legati in modo indissolubile a Dino, prematuramente scomparso nel 1956 all’età di soli 24 anni. L’origine di questa stirpe risale all’ormai leggendario 6 cilindri che Dino Ferrari aveva ideato nella prima metà degli anni 50 e che risultò essere un’unità dalle prestazioni assolutamente eccezionali. Da questa “matrice” Enzo Ferrari ha derivato una serie di propulsori Dino, dalle svariate cilindrate e potenze, che ha ottenuto celebri vittorie in Formula 1 e Formula 2 e nella categoria Sport Prototipi.

La 246 GTS è l’estrema versione delle berlinette stradali del mondo Dino con motore a 6 cilindri: la S della sigla sta per Spider, ma in realtà questo tipo di carrozzeria è “a tetto asportabile”: una porzione del tettuccio può essere dunque staccata e riposta dietro i sedili, per viaggiare, soprattutto d’estate, godendosi il sole e l’aria di mare. Viene presentata ufficialmente al Salone dell’auto di Ginevra nel 1972, quando già la Ferrari ha ipotizzato il pensionamento del modello. Invece, visto il suo successo economico, la Casa di Maranello sarà “costretta” a tenerla in produzione per quasi tre anni per un totale di 1.274 esemplari. Un bel successo in termini economici, non c’è che dire. Ma non soltanto: il motore, successivamente, verrà montato anche su una mitica Lancia destinata a mietere successi nei rally più importanti del mondo: la Stratos.

Perché piace ancora oggi? Tecnicamente parlando, si trat-ta della prima granturismo di Maranello prodotta in serie a montare il motore in posizione posteriore trasversale. La linea, sulla base del disegno originale del maestro Aldo Brovarone, viene poi perfezionata da Leonardo Fioravanti per Pininfarina.

Strano a dirsi, ma va scelta in un colore che non sia il “banale” rosso corsa, se possibile. Splendida di colore giallo, meravigliosa nelle tinte metallizzate.

testo di Gaetano Derosa

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